Nel sistema giuridico vigente, sin da oramai quasi un quarantennio alla data odierna, radicale è stata la scelta legislativa effettuata la fine di porre rimedio ad un sistema penale sempre meno cogente e al contempo troppo pressante per alcuni ambiti della vita di ogni giorno, con l’introduzione di un sistema sanzionatorio amministrativo volto alla repressione di alcune condotte del più amplio e variegato panorama.
Per l’effetto, risulta
facile rintracciare, dopo l’accattivante intento di ricondurre ad un unicum tale scelta legislativa con l’emanazione
della nota Legge 689 del 1981, regolamentazioni di vari ambiti del nostro
diritto prevedenti sanzioni di natura amministrativa per condotte ritenute
illecite e relative al diritto tributario,
al diritto del lavoro, in materia di circolazione stradale etc. etc.
Un problema di non
pronta e facile soluzione, discende dal quadro di riferimento inerente proprio
le peculiarità di tali normative, tutte espressamente richiamanti principi
quali quello di legalità, di personalità della responsabilità rispetto agli
illeciti compiuti e di combinazione di questi con l’ultroneo e peculiare
principio di solidarietà proprio in materia di riscossione delle emanande
sanzioni.
Proseguendo per piccoli
passi, non si può prescindere dal comprendere pertanto le finalità precipue di
tali norme sanzionatorie, desumibili proprio in virtù di molteplici precedenti
della Corte Europea dei diritti dell’uomo (per brevità, CEDU): infatti, la
Corte di Strasburgo ravvisa nel sistema sanzionatorio amministrativo un sistema
repressivo di natura penale allorquando oltre alla predetta caratteristica (repressività)
siano altresì ravvisabili la finalità preventiva e quella punitiva,
ma non anche quella risarcitoria delle sanzioni in parola.
Alla luce di tale
univoca interpretazione data dalla CEDU, la sentenza in oggetto al presente
breve lavoro, quantunque richiamante giurisprudenza maggioritaria e dirimente
almeno pel caso all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione, non può
condividersi nella sua totalità.
Infatti, le sezioni
unite, chiamate a dirimere il contrasto sul punto se la norma che estingue l’obbligazione
al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria in favore del
trasgressore principale estingue altresì anche l’ulteriore obbligazione dell’obbligato
in solido, hanno ritenuto inopportuno il doversi ritenere estinta (a
prescindere dall’avvenuta notificazione della sanzione all’obbligato principale
trasgressore materiale) l’obbligazione solidale.
Vi è da dire con
certezza e altrettanto stupore che, tra le righe, il massimo organo della
funzione nomofilachia (di interpretazione delle norme), chiarisce l’ovvia
necessità comunque di procedere alla notificazione in favore di tutti i
soggetti eventualmente sanzionabili in forza dei precetti violati; ma, pur
sempre, lascia basiti perché una tal conclusione di mancata estinzione dell’obbligazione
solidale, collide e stride proprio con la predetta definizione data dalla CEDU
e ancor maggiormente con tutto l’impianto sanzionatorio penal-amministrativo
basato sulla personalità della responsabilità amministrativa.
Per chiarire il
concetto in parola, basti pensare alle norme che coinvolgono quotidianamente
una moltitudine di consociati (ma il discorso vale ovviamente in tutti gli
altri casi laddove la normativa preveda sanzioni amministrative): si pensi ad
esempio ad una classica multa notificata per eccesso di velocità, comportante
oltre alla semplice sanzione pecuniaria, la decurtazione dei punti nonché la sospensione
della patente.
Ebbene, nulla di più
sorprendente sarebbe ravvisabile ove la notifica per mancata tempestiva contestazione
giungesse ad uno solo dei soggetti come preventivamente individuati dal codice
della strada, e, per di più, tale soggetto materialmente sanzionato (appunto,
tramite l’avvenuta notifica poiché obbligato in solido), non possa
assolutamente ritenersi il trasgressore (perché, per esempio, di sesso
differente dal materiale trasgressore come ricavabile dai rilievi fotografici
della condotta a punirsi). La mancata notifica al trasgressore nei termini
previsti, importerebbe la decadenza dalla possibilità di perseguire le finalità
precipue del sistema sanzionatorio, ossia non sarebbe possibile reprimere,
prevenire e punire la condotta del “malcapitato” conducente trasgressore, salvo
a tutti gli effetti ottenere il mero ristoro (a questo punto in termini di solo
risarcimento della condotta illecita).
Ed ancora; poniamo il
caso che la notifica della sanzione sia effettuata ad uno solo dei coobligati
in solido senza alcuna spiegazione e/o motivazione della scelta effettuata dal
soggetto procedente; tale condotta, oltre ad essere foriera di una arbitrarietà
quasi parificabile al potere de imperio,
sarebbe altresì lesiva rispetto al
legittimo diritto di difesa sia dell’obbligato in solido che del trasgressore.
Non vi è chi non veda l’assurdità
delle situazioni in questione, poiché peraltro foriere di facili contenziosi
(tra tutti, i casi di irrogazioni di ordinanze ingiunzioni ove anche il
trasgressore sarebbe nel pieno di intervenire e di opporsi al seguito dell’avvenuta
notifica di tale ulteriore atto impositivo).
Infine, ma non da
ultimo, diverso è il caso di cui al citato provvedimento laddove è chiaro l’intento
legislativo di sanzionare a prescindere poiché la normativa prevede espressamente
ed unicamente l’emanazione di sanzioni pecuniarie, nel mentre una serie di
altre leggi unitamente alla sanzione amministrativa (multa) prevedono una serie
di ulteriori sanzioni ben più cogenti e deterrenti proprio al fine di
perseguire le finalità come delineate dalla CEDU e da sempre, storicamente, principi
del nostro diritto penale e delle relative sanzioni penali e amministrative.
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