In questa epoca laddove tutto si consuma contemporaneamente al lasso necessario per mandare un messaggio della più nota messaggistica presente sul mercato, anche le separazioni e i divorzi (e, in maniera inversamente proporzionale, i matrimoni) sono all’ordine del giorno e, alle volte, anche solo dopo pochissimi mesi di convivenza post matrimoniale, la coppia “scoppia”.
Dopo l’introduzione nel
nostro ordinamento della legge sul divorzio (1° dicembre 1970, Legge 898), vari sono stati gli interventi che
hanno visto modifiche anche di non poco conto all’originario testo, giungendo
fino ai giorni nostri in cui è prevista la possibilità di procedere dapprima
con la separazione (mantenendo il vincolo matrimoniale in essere ma essendo
autorizzati a vivere separati di “letto e di mensa”) e poi (ove ne ricorrano i presupposti
rintracciabili nella decorrenza di termini dalla comparizione dei coniugi
innanzi al presidente del tribunale) a sciogliere o cessare il matrimonio - asseconda rispettivamente si tratti di
matrimonio civile o concordatario – nei successivi 12 o 6 mesi dalla citata
comparizione (legando tali termini alle distinte fattispecie di separazione
consensuale o giudiziale intraprese dai ricorrenti).
Come sicuramente
risaputo, l’interesse preminente da tutelare in tali casi, è quello afferente
la tutela dei figli della coppia, a maggior ragione laddove questi siano ancora
minori.
In questo ambito, senza
che vi sia necessità di ricorrere a statistiche del caso, nella stragrande
maggioranza dei casi, i figli minori, anche in situazioni di affidamento
condiviso genitoriale, sono collocati presso la madre, la quale a sua volta
ottiene il previsto assegno di mantenimento per le cure ad apprestarsi (oltre,
solitamente, a prevedersi una serie di ulteriori pattuizioni di natura
economica sempre a garanzia della educazione, mantenimento ed istruzioni dei
figli).
Se da una parte, tali
conflitti famigliari possono portare a situazioni di disagio (pericolo,
frustrazione etc. etc. etc.) sia per sventurate mogli che per incolpevoli figli,
d’altro canto, i postumi di una separazione e/o divorzio possono decisamente
modificare la vita di uomini/mariti poiché coinvolgenti aspetti economici,
psicologici e non idonei a far parlare delle medesime situazioni quali nuovi
fenomeni sociali preoccupanti costituenti i nuovi poveri (cosiddetti padri separati).
Il dilagante numero dei
divorzi (gli ultimi dati come riportati dal report Istat in materia, a seguito
dei due anni dall’entrata in vigore della normativa in materia di divorzio
breve, riportano un aumento rilevante delle cessazioni o scioglimenti dei vincoli
matrimoniali) unitamente al predetto problema sociale, ha condotto la
maggioranza politica del paese ad immaginare una riforma della materia,
rappresentata e nominata (dal nome del presentatore) disegno di legge Pillon (disegno
di legge 735).
Permeato da un’ottica
di rivisitazione generale degli equilibri post-divorzili (e post separazione
coniugi), il disegno di legge, con l’intento preciso di salvaguardare “l’affidamento
condiviso, il mantenimento diretto e la garanzia di bigenitorialità”, ha
suscitato (nonostante sia ancora allo stato embrionale e lungi dal potersi ritenere
fonte del diritto) non poche contestazioni, poiché a detta dei suoi detrattori,
foriero di situazioni di squilibrio a svantaggio delle madri
separate/divorziate.
In concreto, la
proposta prevede (ci si ripete, qualora diventasse legge senza modifiche all’attuale
impianto) per le coppie separande con figli minori, l’attivazione di una
procedura di mediazione famigliare (obbligatoria e condizione di procedibilità
per l’eventuale azione innanzi al Tribunale) ancor prima di potersi rivolgere
ad un Giudice.
Quindi, tale procedura
di mediazione effettuata pel tramite di soggetti privati costituiti ad hoc (lo stesso disegno di legge
enuclea le caratteristiche del nuovo soggetto mediatore professionale
incaricato), impone tale nuovo iter al fine di poter redigere consensualmente
tra i separandi un “piano genitoriale”, con il preciso intento di andare a
regolamentare: 1) i luoghi abitualmente frequentati
dai figli; 2) scuola e percorso
educativo del minore; 3) attività
extrascolastiche, sportive, culturali ed educative e, da ultimo, 4) le vacanze normalmente godute.
In riforma della
normativa sostanziale come prevista ai sensi dell’art. 337-ter del codice
civile, il disegno prevede tempi equipollenti o paritetici di convivenza del
minore con ciascuno dei genitori, salvi ovviamente i casi di impossibilità
materiale.
Del tutto inderogabile
come principio della proposta è il doppio domicilio del minore e, quale aspetto
dai seri dubbi di legittimità, si prevede l’impossibilità dello stesso minore
di poter intervenire nella scelta del genitore presso cui essere collocato.
Sicuramente confortante
una vera e propria rivoluzione del diritto di famiglia rispetto a quanto sino
ad oggi accaduto in tutti (o, comunque, nella stragrande maggioranza dei
procedimenti per separazione e divorzio) i casi in parola, la prospettata
normativa fa discendere dal principio di genitorialità perfetta, l’equa
ripartizione delle spese (ordinarie e straordinarie) necessarie per la crescita
del minore, abolendo definitivamente l’istituto quest’oggi in essere dal
diritto al mantenimento a versarsi in favore del coniuge collocatario.
Per altro verso e sempre
fonte di non pochi commenti negativi, appare altresì la regolamentazione in
materia di casa coniugale, laddove il provvedimento prevede il pagamento di un
canone da un coniuge in favore dell’altro nel caso in cui l’immobile sia cointestato,
nonché l’obbligo di lasciare la stessa casa gravante sul coniuge non titolare
di diritti reali o personali (usufrutto, uso, abitazione, comodato etc. etc.) o
convivente more uxorio o risposato.
In questa sede non si
proferisce parola (volutamente) sulle condotte relative alle donne vittime di violenza
domestica, auspicando che quanto riportato dal testo in esame, possa essere oggetto
di attenta e ponderata rivisitazione avente quali obiettivi la salvaguardia primaria degli interessi dei
minori nonché quelle delle malcapitate vittime di violenza domestica; si
precisa che la regolamentazione de qua
è rintracciabile agli articoli 17 e 18 del citato disegno di legge.
0 commenti:
Posta un commento